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> SAHART: REGARDS D’AILLEURS. Catalogo della mostra alla Villa des arts de Casablanca, Fondation ONA 2008. Link >
> “Cittadini del mondo”
in ELLE DECOR, anno 18, n.1/2, Gennaio/Febbraio 2007.
in CORRIERE DELLA SERA, 10 Maggio 2006.
Forme piatte e semplificate con stile fumettistico, definite da colori accesi e da contrasti vivacissimi, riprendono la celeberrima vista del golfo di Napoli, con il Vesuvio sullo sfondo, cieli punteggiati da costellazioni immaginarie e anche omini con valigie, quali incarnazioni dell’emigrante senza radici e pomodori rossi e polposi. Sono i soggetti ricorrenti nei dipinti di Gennaro Cicalese, che trasforma le icone e i simboli partenopei più stereotipati in immagini accattivanti ed ironiche, tra naïf e pop napoletano. Nell’atmosfera informale della galleria Spazioinmostra, sono in mostra una trentina di lavori, collage, oli e acrilici su tela, realizzati dal 1986 a oggi. Riproduzioni a olio di vecchie pubblicità, dove Cicalese trasforma il senso degli slogan giocando con il significato delle parole, sono esposte accanto ai più numerosi collage, ottenuti con assemblaggi di carte varie. Biglietti di treni e metrò, scontrini e ricevute di pagamento, dollari veri e falsi si modellano nei contorni geografici dell’Italia, fornendo una inattendibile mappa meteorologica; oppure si compongono ordinatamente, quali memorie di viaggi e migrazioni che evocano la stessa storia del pittore napoletano. Un bagaglio di ricordi racchiuso nella valigia simbolica dell’onnipresente omino-viaggiatore, a volte in fuga da una Napoli notturna, costellata di luci; o smarrito nei labirintici tracciati che ricostruiscono le topografie di città inventate. Con ironia anche le etichette dei pelati, disposte a raggiera, si trasformano nei petali di un fiore e nelle foglie di un’improbabile «pianta del pomodoro».
> Marie Louise Denti,
Dalla prefazione al catalogo “Ti cambio i connotati”, 2004.
…Per Gennaro Cicalese l’essere umano è luogo. Nelle fotopitture digitali i volti si dissolvono in pixel, i tratti somatici si sciolgono in colore fino a trasformarsi in una sorta di mappa geografica. In modo diverso, ma con la medesima intensità, anche nella serie di figure bicrome esce forte il senso dello spazio: sempre vissuto in modo dinamico, in movimento. Le figure sono attraversate da linee che s’intersecano come fossero strade – luminose – dell’Io…
in IO DONNA, N°41 – 9 ottobre 1999.
> Dada Rosso, “Chiedete Cicalese”
presentazione della omonima mostra, Milano, 1999.
Chiedete Cicalese… Certo, subito e con grande entusiasmo, ma dove? Tra i suoi luoghi (pittorici) il rischio è non beccarlo mai. E sarebbe davvero un peccato…
Come i suoi emigranti (grintosi e ottimisti nonostante la malinconia e la lacerazione), Gennaro ha lasciato Napoli, ma la città che ha raggiunto è fascinosamente virtuale, una toponomastica intrigante di incroci tra avenue parigine e strade milanesi, street londinesi e avenide madrilene. Trovarlo in quel traffico, poi, nell’ingorgo delle sue improbabili utilitarie, disorientati da permessi per sostare sempre altrove, dopo aver pagato ingressi per sempre altri film, con in tasca biglietti di treni in partenza sempre da stazioni diverse… Forse è più facile inseguirlo danzando sui fili tesi dei suoi equilibristi. Ma è solo affascinante spaesamento di luoghi mentali, di viaggi su tele, per fortuna.
Globe trotter nello spirito e nelle curiosità/esplorazioni/esperienze d’artista davvero internazionale, Cicalese si confessa bradipo, tendenzialmente stanziale, con una realtà spazio-temporale dal lento scorrere. Una lentezza che è il meraviglioso sapersi dosare i propri tempi, vivere fino in fondo le proprie emozioni, gustare l’amore, il cibo, l’arte, concedendosi l’unico lusso che a Gennaro importa davvero: scandire la vita con i propri ritmi, facendo bene ciò che deve fare, con quel tanto di ironia che permette di tirare avanti aiutandosi con lo sberleffo.
Proprio in questo il napoletano sensibile e intelligente che è in lui si svela e riconosce, si inorgoglisce e resiste vittorioso, a dispetto degli anni emigrati. Più ancora che nell’uso, più profondo che poppartiano, dei collage delle etichette di rubicondi San Marzano pieni del suo sole (non a caso, prodotti per l’esportazione in New Jersey) più ancora che nei suoi Vesuvi, a Milano costantemente impennacchiati da un ricordo di eruzione.
in IL MIO COMPUTER, Marzo 1998.
> “Giochi di parole”
in CASAVIVA, Settembre 1998.
> Lina Sotis, “Domenica d’artista”
in CORRIERE DELLA SERA, 5 Aprile 1998.
> CHRIS BONNICI, “Free zone: Gennaro Cicalese”
in MWM, internet e-zine, Marzo 1998.
Gennaro Cicalese is from Naples in Italy. His art gives us life, seen though those factors that surround us, be it the media, the common folk, technology, environment, etc. He uniquely manages to add a signatory touch of irony to his work. Without doubt Cicalese’s work deals with reality, a reality that fits in time and space. It demonstrates an artist brought up in a world filled with sound and vision that exists in a metropolitan, modern, media-filled world where people meet people, see people and talk to people.
in BRAIN, n.2, Novembre 1996.
“L’ho riconosciuto mentre si aggirava guardingo in galleria-inaugurante. Gli ho chiesto: fai ancora il pittore? Mi ha risposto: ora più che mai. E allora vado nel suo studio a verificare cosa avrà mai combinato Gennaro di questi tempi. Dice sto lavorando sul concetto di ignoranza -LA RICERCA E’ SEMPRE SULL’IMMAGINE- la tecnica è (spesso) il collage. Assembla e poi lavora di pennello su scontrini fiscali, biglietti ATM, FS Milano-Napoli e ritorno, schedine totip… una volta anche sulle diecimilalire ma si sa i tempi son cambiati! E le etichette dei pelati NATCO DEA SELECOM?? Un PITTORE – MIGRATORE Cicalese conosce strade che dal Golfo di Napoli sbucano dritte dritte a Berlin Alexanderplatz passando per Porta Ticinese. Ora sta lavorando anche sul B/N… da non perdere DER KUSS. Citazione colta.”
in VOGUE Bambini, n.124, Gennaio/Febbraio 1995.
“Un pò naif e un pò… pop, il napoletano Gennaro Cicalese racconta con una pittura “infantile” storie di vita quotidiana, qualche volta legate alla sua terra, altre volte al mondo della TV, dei media, della gente comune, di ciò che ci ruota intorno. Lo fa con una tecnica mista, collage e olio su tela, nella quale recupera immagini quotidiane di tutti i generi, ma sempre con un filo d’ironia ed una giocosità divertente tutta bambina.”
in AMICA, n.21, Maggio 1994.
> A. Elefante, “Paesaggi/Passaggi”
presentazione dell’omonima mostra, Casagiove (CE), 1994.
“…a tempo di rap si entra infine nella “metropoli$” di Gennaro Cicalese. Attraverso percorsi obbligati – seguendo frecce che indicano il “senso”, la direzione – fra auto e video, con il Vesuvio pacchiano delle feste alle spalle o sopra una distesa di scontrini fiscali, l’artista ci guida alla scoperta di una dimensione di overdose comunicazionale, dove incombe la presenza del denaro e del tempo che è sempre denaro. Nello spazio pittorico che si ricava dalla differenza fra Blade Runner e Brazil, questo singolare cantastorie post-moderno carica le sue tele di simbologie mediali e di nostalgie, innescando un meccanismo di “pidginizzazione estetica”. La sua città nasce infatti dall’incontro fra lingua della comunità e linguaggio cibernetico. E’ quindi il luogo della contaminazione, dello zapping e del blobbing. Ma è anche lo spazio ludico-atletico dove dar sfogo all’ossessione etica dell’inutilità dell’arte.
Quindi cambiamenti di paesaggio. Il presente, fra ansie di de-contaminazione e desideri di contagio, è luogo di passaggio…”
> “Kunstlerische Ultimatum”
in KUNSTFORUM INTERNATIONAL, Bd.117, 1992.
> M. Tartaglione, “Cicalese Migrazione”
prefazione al catalogo della mostra “Migrazione”, Milano, 1992.
“Omnia migrant” (Lucrezio).
Cicalese migrazione è un viaggio nella condizione migratoria, nello state of mind del migratore, quello stato biologico in cui sapere dove andare e non sapere come è meglio di sapere come e non sapere dove.
La visione di questa idea, di questo spostamento continuo, sottile, in profondità e in superficie, segue il ritmo perfetto di una sequenza di fotogrammi. Fra le luci ed i colori fluidi,tremolanti dello sfondo si muovono dati iconografici apparentemente esausti, segni stereotipati del commercio e dell’erario osmoticamente ritrasmessi in parodia della serialità e della immanenza dei media.
Su questo scenario di simulacri e simboli espansi (tipicamente fin de siecle) si staglia netta, mercuriale, la figura paradigmatica del migratore, il viaggiatore in bilico tra le proprie inquietudini e la naturale ineluttabilità dello spostarsi, alla ricerca di un senso contaminato dalla molteplicità dei significati.”
in FLASH ART, n.161, Aprile/Maggio 1991.
> A. Micaletti, “Spray”
in JULIET, n.51, Febbraio 1991.
in GAZZETTA DI PARMA, 19 Febbraio 1991
“Nei piccoli spazi di “4,5×4,5″, borgo Parmigianino 21, si incontra l’ironico racconto per immagini di Gennaro Cicalese.
Cicalese è napoletano e propone la figura dell’emigrante: con la vecchia valigia di cartone tramandata dalla più tradizionale oleografia, ma anche con l’inquietudine suggerita dal più moderno disagio di un viaggio verso l’ignoto.
Quanto agli strumenti, Cicalese utilizza i contorni marcati del fumetto, mettendo in parentesi sia i segni che le parole. Fra gli uni e le altre appare, naturalmente, il Vesuvio: con la sua presenza simbolica, con la sua tipologia figurativa. Al di là del profilo familiare del vulcano c’è poi la realtà complessa di Napoli, c’è un mondo che si anima di maliziose istigazioni intellettive.
Ed è proprio questo mondo che Cicalese tende a restituire con i tratti della sua maliziosa pittura.”
> A. Carretta, “Gennaro Cicalese”
Presentazione della mostra “Nuove Vedute”, Parma, 1991.
“Contrariamente a quanto pensano i napoletani, il mondo non li ricorda per il Vesuvio e le pizze, che pure sono punti fermi e della loro iconografia e della nostra vita, ma per la loro ironia e per il loro ammiccare, del quale ammiccare non si riesce mai a pescare lo strato più profondo. L’osservazione viene spontanea osservando i lavori di un gruppo di giovani, nel caso specifico Cicalese. Questo gruppo di artisti desidera trovare una propria situazione o spazio distaccandosi dal filone di prestigiose Gallerie napoletane che, forse per ricordarci I’importanza culturale della città, sostengono artisti stranieri o in altri casi artisti che usano linguaggi non legati a situazioni locali. Pur avendo percorso contrade europee, Cicalese rivaluta gli elementi che – troppo spesso e frustamente usati- noi memorizziamo: ma questa riproposizione risulta un voler praticare ironia su di noi. Difatti ci viene riproposta l’immagine dell’emigrante dalla valigia di cartone e la documentazione della vita quotidiana di sofferenze, come possono attestare tutti i biglietti di autobus e treni vari e altri elementi iconografici classici. Ma il genere di pittura, il modo fluido di stendere i colori e collocare l’immagine e i divertenti neologisini creati attraverso la rielaborazione di parole inglesi, scomposte in modo che si possano leggere solo dando un’inflessione napoletana, ci riportano di colpo alla sottigliezza di questa razza. Il che ci permette di intendere che anche se sono per il momento persi nei meandri di infime connessioni di vita, intanto che noi continuiamo a guardarli con un certo sospetto che ci permette di percorrere a fatica questi ottocento chilometri che ci separano, loro si sono già fatti nel frattempo il giro dell’Europa e del mondo: anzi ci propongono, attraverso una vitale mescolanza di vecchio e futuribile, di associarci a loro, camorra permettendo.”
in INTERNI, n.410, Maggio 1991.
“Una quarantina di opere di Gennaro Cicalese – quadri, disegni, incisioni e oggetti – sono state esposte alla Galleri Murnik di Milano in una mostra dal titolo Look at st’Art. Esuberanti come la personalità dell’artista napoletano che le ha concepite, queste opere intendono ritrarre il senso della vita moderna con tutto il suo traffico, la mancanza cronica di tempo, i linguaggi stereotipati, le comunicazioni anbigue e i molti personaggi sconcertanti che vi si aggirano. Quasi che il mondo di oggi, per gli stessi uomini che lo vivono, apparisse come un’immagine surreale.”
in TITOLO, Anno II, n. 4, Primavera 1991
“Pop metropolitano? Graffitismo surreale? I riferimenti possibili ed impossibili sono molti, passando con lo sguardo sulla quarantina di opere che costituiscono la prima personale di questo giovane artista del Sud e forse anche la sua intera produzione. Confuso egli stesso dalla complessa caoticità delle pulsanti giornate “urbane”, Cicalese risponde e reagisce con un linguaggio riconducibile a quello del cinema e della televisione piuttosto che a quello della pittura, cercando di sfuggire nervosamente alla statica bidimensionalità della figurazione. Fotogrammi sovraccarichi di tutti i facili simbolismi del nostro quotidiano, divertiti e divertenti collage “catodici”, queste tele sono animate da un “rap” variopinto ed incessante in cui l’inevitabile e progressiva contaminazione tra media porta ad un’unica conclusione: non c’è tempo per aspettare, per vivere, per raccontare; le cose corrono in fretta, come un passaggio al telecomando, come il suono che precede l’abbandono di un messaggio ad una segreteria telefonica.”
> M. Vitiello, “Le vedute insolite di Gennaro Cicalese”
in Politica Meridionalista, Anno 19, n.6, Giugno 1991.
“Gennaro Cicalese è nato a Castellammare di Stabia nel 1964. Da qualche anno vive a Milano. Ha iniziato giovanissimo. Si tratta praticamente di un artista inedito in Italia, avendo esposto in precedenza principalmente, in Germania. Prima personale in Italia alla Galleria Murnik, di Milano; successiva ad Arte Nuova, di Parma. Tutta l’opera di Cicalese risente di un influsso culturale che la rende caratteristica ed originale: la presenza dell’esuberanza culturale napoletana, anzi “stabiese” (con ciò che comporta il vivere in una realtà esistenziale non certo “comune”), filtrata dagli incontri e dalle esperienze artistiche vissuti in Germania. L’attenzione di Cicalese si rivolge, quindi, soprattutto al senso della vita, intesa come vita vissuta oggi, fatta di traffico, di mancanza di tempo, di linguaggi stereotipati, di comunicazioni tanto veloci quanto ambigue, di personaggi sconcertanti. Quasi che la vita di oggi sia un’immagine surreale semplicemente da trasporre sulla tela…”
> Gianni De Martino, “SEI ARTISTI DELL’ISTITUTO NAPOLETANO DI CULTURA”,
presentazione dell’omonima mostra, Milano, 1990.
“In un quartiere di Napoli, riferiscono le cronache, c’è uno spilungone con la barba dall’aria suonata che chiama tutti “Fritz”. “Vieni Friz”, ti fa, “vieni che ti faccio vedere”.
Questo personaggio mi fa venire in mente certi critici quando cercano di classificare in gruppi e movimenti i nuovi artisti.
Finora a nessuno era venuto in mente che sei artisti si potessero mettere insieme per formare una band, magari provvisoria ma affiatata. Balestrieri, Cassandro, Cicalese, D’Ammora, Di Sera e Piscitelli appartengono tutti a quella generazione dei venti-trentenni che è cresciuta al ritmo delle discoteche, della televisione e dei videoclip in una metropoli mediterranea che sta insieme solo perchè la sua salvezza sta nell’eterno movimento: un movimento da suk nordafricano e da città post-industriale alla Bladerunner, che produce cupa delinquenza, sfasci, disastri e bellezze. Fra consorzi magici, vigili smarriti in mezzo al traffico, bottigliate di mamme coraggio contro gli spacciatori, camorre e segreti di Pulcinella, Napoli si muove freneticamente perchè se si ferma si accorge di essere più puzzolente e destrutturata di Tokio o Città del Messico, e quindi è giocoforza saltellare fra le auto, i fuochi dei copertoni accesi dai disoccupati, scarichi di macelleria, gatti morti e topi prodigiosi di sessanta centimetri dai baffi alla coda: proprio alle spalle della stazione Garibaldi, dove fra una parrocchia che concede indulgenze plenarie e un bar che fa un profumatissimo caffè Kimbo, sorgono strepitose costruzioni d’avanguardia europea.
E’ proprio il particolare rapporto che lega i sei giovanissimi artisti all’atmosfera, ai comportamenti e alle percezioni della metropoli precaria che dà vita a questa esposizione, immaginata come una sorta di decostruzione in chiave visionaria delle molte immagini offerte dalla città del terremoto permanente. Come si fa a sfuggire al luogo comune? Invertendone il segno.
Un giorno alcuni di loro, emigrati provvisoriamente in Germania, andarono al consolato italiano di Colonia per domandare spazi e appoggi. Fu loro risposto che non avevano alcuna veste istituzionale e non ottennero nulla. Allora Al Hansen, del gruppo Fluxus, esclamò: “Ma perchè non vi siete presentati come Istituto Napoletano di Cultura?”. La sigla è rimasta, ed è come una ritorsione: lo sberleffo con cui i “deboli” diventano per un momento più forti dei forti. Anche la loro arte -pur fra consonanze e linee di fuga- sembra privilegiare la superficie sulla profondità, il segno sul senso. E’ una scelta molto coerente stilisticamente nel loro caso, perchè riflette una lettura ormai generazionale delle forme e delle energie di un mondo senza abitudini, dove destreggiarsi con abilità e mutevoli chances fra lampi di segni, pezzi di memoria e di città esplosa. “Vieni Fritz. Vieni che ti faccio vedere la rumba degli scugnizzi …”
> M. Tartaglione, prefazione al catalogo “LOOK AT $T’ART”
Milano, 1990.
Tutto il percorso artistico di Gennaro Cicalese è testimone di un interesse per l’universo delle comunicazioni, dal gradino basso della interazione fra individui al sistema planetario della struttura dell’informazione sociale: i meccanismi, le connessioni, i modi di ricezione e trasmissione propri dei diversi ambiti comunicazionali vengono dissezionati e ricomposti dalla pittura nel loro configurarsi come ipertrofica congerie di rituali, modelli, nuovi paradigmi tecnologici.
Dunque il lavoro di Cicalese riguarda la realtà, in quanto quest’ultima è costruita proprio dalle strutture del sistema dell’informazione, che determina perfino lo spazio e l’ordine di importanza che i segmenti informativi acquisiranno nell’enciciopedia del soggetto.
E’ probabilmente questa attenzione ai processi mediatici nel presente e nel divenire storico a guidare l’artista verso una pittura che smetta di essere il teatrino cinico di un ipocrita riappacificazione e ridiventi il terreno di uno scontro, luogo di frizione tra codici, segni, messaggi, dove, come nella vita, la realtà si intrecci al gioco, alla fabula, al mito. E “se il mito”, ad esempio, “pratica un continuo furto sul linguaggio perchè non fare lo stesso sul mito?” (Barthes).
Queste opere non hanno la piattezza dell’ideogramma e del fumetto, vivono nella complessità dei simulacri comunicativi, la presenza del linguaggio minaccia di continuo la struttura figurativa che per sopravvivere si trasforma in slang, dialetto.
Cicalese elabora quella che potremmo definire una cartografia sociale del profondo e della superficie: non si tratta di giudicare lo spicchio di realtà preso in considerazione, ma di riscattarlo, tracciandone una topografia verosimile, senza tentare di nascondere qualcosa dietro gli artifici colti e illusionistici.
Ed è solo così, assumendo i rischi di una attenta ricognizione, che l’arte può osservare il paesaggio dall’alto come dal basso, attraversarne i meandri con la disarmante disinvoltura di chi in quel luoghi è nato.”
> M. Tartaglione, “Gennaro Cicalese”
prefazione al catalogo della mostra “SENZA TITOLO”, Napoli, 1988.
“L’osmosi tra l’obliquità dell’immagine e le ipotesi di semiosi avanzate dalle parole sostanzia di sè i percorsi comunicativi scelti da Gennaro Cicalese. A volte, in queste opere, la figura smentisce la sua presenza preminente, si nega importanza a beneficio del concetto veicolato dall’interagire appena dissimulato tra il momento pittorico e quello verbale. L’immagine attinge spregiudicatamente all’ethos telematico, “high tech e high touch”, la parola traccia polidiscorsive linee di senso. Il successo dell’assemblage non deriva da una irricostruibile coerenza stilistica ma dalla descrizione di un variegato orizzonte di relazioni fra soggetto, pittura, spettatore, rivolta a rappresentare un comune ma personalissimo “stream of consciouness”, un possibile momento epifanico.
E’ interessante rilevare la particolare attenzione dell’autore ad una iconografia dell’hardware radio-televisivo che viene raffigurato con la tecnica dell’ “expanding simble”, la ripetizione di determinate immagini che compongono una visione globale dell’opera fluttuante, indefinita, circostanziata, ma avvolta nella nebbia delle associazioni.
Una pittura, dunque, fitta di riferimenti, ricca tanto da ostruirne la superficie e velarne il senso, fino a cadere nel vuoto della irreferibilità dei dati continuamente assunti, parodia dell’iteratività del sistema dell’ informazione, dei pezzi di storia che affogano nei flussi quotidiani dell’ informazione. Ma qui, in queste opere, a differenza di quanto avviene nella scrialità performativa dei media, il fruitore farà deliberatamente confusione e pasticciando con i colori, le parole e i sensi potrà dare luogo ad infinite e liberatorie “agenda-setting”.
> M. Tartaglione, “D’AMMORA CICALESE DI SERA”
prefazione al catalogo dell’omonima mostra, C/mare, 1986.